Oggi sento il bisogno di raccontare quanto meravigliosa sia stata la mia esperienza Erasmus Plus a York. 

Certamente, l’impeccabile macchina organizzativa ha giocato un ruolo determinante nella buona riuscita dell’impresa. Siamo stati seguiti passo dopo passo sin dalla comunicazione del successo del progetto “Cosmopolitismo digitale”: ogni dubbio è stato sciolto a poche ore dalla domanda, le istruzioni operative sempre chiare e puntuali.

York Associates, ente erogatore del corso “Making Use of Technology Tools”, ha sede in una struttura molto accogliente che non deluderà gli amanti dell’English Old Style. Nei rari momenti di pausa, mi capitava di fantasticare sui miei romanzi preferiti e quasi vedevo Lizzy e Jane Bennet comparire in cima alla scalinata nei loro graziosi cappellini di crinolina, pronte per una passeggiata nelle assolate giornate yorkesi che ci hanno rallegrati nei primi giorni di permanenza.
Sono grata di aver avuto Chia Suan Chong come docente. Comunicatrice estremamente efficace, carismatica, coinvolgente. Voglio essere sincera riguardo le mie aspettative: temevo che il corso sarebbe stato un po’ ripetitivo rispetto alla mia formazione precedente. Invece, ho ricevuto una formazione abbondantemente superiore alle mie aspettative in un corso di livello avanzato. Ciò che più conta per me, non si è trattato di imparare a utilizzare applicazioni o dispositivi, ma di come questi possano essere utilizzati nella didattica quotidiana. Importantissimo sottolineare l’aggettivo “quotidiana“. Nel mio ruolo di Animatore Digitale e formatore, mi trovo spesso difronte all’ostacolo del pregiudizio nei confronti del digitale. Una parte dei docenti è convinta che si tratti di una perdita di tempo, non ne comprendono l’impiego strumentale e vedono in queste pratiche un male necessario per insegnare ai ragazzi a usare un computer, ma da relegare a un qualche progettino alieno alla prassi didattica. Nei cinque giorni trascorsi a York, grazie alle attività stimolanti proposte da Chia, noi corsisti abbiamo ragionato a fondo su come creare una didattica basata sul digitale con fini pedagogici chiari e definiti, sul come prendere nettamente le distanze da quella che qualche osservatore definisce “gadgettizzazione della scuola“.
Tutto ciò che abbiamo appreso non era nuovo nei contenuti, ma lo era nell’approccio, nella riflessione e forse persino nel significato. Ora mi sento più sicura nel proporre pratiche didattiche che utilizzano il digitale o no, a seconda dell’esigenza. Il mio obiettivo a breve termine è formare nella mia scuola un gruppo di docenti che comprenda con naturalezza e senza conflitti se e quando è utile l’utilizzo di dispositivi informatici e quando e come gli strumenti possano essere adoperati. Fare in maniera analogica ciò che può essere fatto in digitale è come voler avvitare una vite senza cacciavite: certamente potete arrangiarvi con un coltello, ma ci metterete più tempo e farete un lavoro meno accurato. Spesso mi chiedono se sia meglio uno strumento o l’altro. Ad esempio, recentemente nella mia scuola ci si è posti il problema di mettere a confronto Edmodo e Google Classroom. Credo che anche qui valga la regola dell’abbinare ogni azione allo strumento corretto: se voglio svitare una vite con testa a stella, sceglierò il cacciavite adatto per forma e dimensione; ma dire che un cacciavite a stella è migliore di un cacciavite piatto sarebbe privo di qualunque fondamento, se non specificassi a cosa mi serve quel cacciavite.

Arrivo infine ai miei compagni di corso. Mi sento molto fortunata e onorata di aver fatto parte di un gruppo come quello che Anna Rita Vizzari ha deciso di mandare a York. L’esperienza è stata molto intensa e sento di aver imparato tanto dal punto di vista umano e professionale da tutti loro. Troppo spesso noi insegnanti siamo totalmente assorbiti dai problemi interni alle nostre scuole e non abbiamo la possibilità o la voglia di confrontarci con l’esterno; alcuni chiudono la porta a qualunque confronto, persino all’interno dell’Istituto di appartenenza. Sento ora più che mai che la cooperazione, gli scambi tra docenti, e i progetti in rete sono una grande opportunità di crescita per il personale della scuola, se si esce dalla logica della cura esclusiva del proprio orticello. 

Appartengo alla generazione Erasmus. Da studentessa universitaria ho studiato Sedimentologia, Telerilevamento aereo e satellitare e Fotogrammetria presso la Facoltà di Geologia di Liegi per quasi un anno, fu un’esperienza estremamente formativa e sono grata di averla vissuta nel modo migliore, ovvero evitando gli italiani e immergendomi totalmente nello studio, nella lingua e nella cultura locale. Frequentai anche il corso di Chimica Organica presso la Facoltà di Chimica, suscitando grande divertimento in tutta la Facoltà di Geologia perché non esiste in altre nazioni europee qualcosa di simile al nostro corso di Laurea in Scienze Naturali, che rimescola in maniera tanto impudente le Scienze della vita e quelle della Terra. “Come nel diciannovesimo secolo!“, dicevano con grandissimo spasso. Al grande sedimentologo Jean Thorez, servirono una buona mezz’ora e diversi aggrottamenti di sopracciglia per comprendere cosa fosse un naturalista… Infine disse: “Sarebbe utile, uno così”. Ma non fu il suo endorsement a far sì che i miei compagni belgi iniziassero  a prendermi sul serio: dovetti sgobbare sodo per essere preparata  e per non far sfigurare la mia Italia e la mia Sardegna che, in quel momento, rappresentavo.

Quell’esperienza di studio all’estero mi insegnò che l’autoreferenzialità è quanto di meno appropriato esista per la mia generazione e quelle successive, che fanno i conti con la globalizzazione. Essere convinti di non aver niente da imparare o di non dover modificare le nostre opinioni o i nostri pensieri ci fa assomigliare a quei personaggi di provincia magistralmente interpretati da Totò. 



I più (certamente il mio amico Giovanni Sanna) hanno colto nel titolo di questo post il riferimento al celebre romanzo di Kazuo Ishiguro.

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